Eduardo Chillida
Nasce da una famiglia profondamente radicata nei Paesi Baschi. Il padre Pedro Chillida, militare, era una persona con inclinazioni artistiche verso il disegno e la pittura.
Eduardo si iscrive all'Accademia nel 1939 dove conosce Ignacio Malaxecheverria, l'unica persona che riconoscerà come maestro di vita. Fu anche portiere della squadra di calcio Real Sociedad fino ad un infortunio al ginocchio che gli farà abbandonare lo sport ed apprezzare le lunghe passeggiate in montagna.
Nel 1943 comincia a studiare architettura mentre il fratello Gonzalo Chillida si dedica alla pittura, ma nel 1947 abbandona questi studi per dedicarsi alla scultura trasferendosi a Parigi.
Secondo numerosi critici, tra cui Cosme de Barañano, è a Parigi che l'opera di Chillida inizia a prendere corpo. È qui che realizza le sue prime sculture in gesso, stimolato dalla scultura greca arcaica esposta nel Museo del Louvre. Nel 1950 si sposa con Pilar Belzunce a San Sebastián ed insieme si trasferiscono a Parigi dove debutterà nello stesso anno con la mostra Les Mains Eblouis.
In questa epoca inizia la sua amicizia con il pittore Pablo Palazuelo. È sempre in questi anni che inizia anche la sua rivalità con lo scultore Jorge Oteiza. Entrambi con un'arte legata alla tradizione costruttivista, anche se ciascuno lavora su tematiche parzialmente differenti - come spiegò in diversi libri ed articoli il critico d'arte ed architettura Juan Daniel Fullaondo, Oteiza non smise di accusare Eduardo Chillida di plagio, arrivando a pubblicare nel 1991 Il libro dei plagi con fotografie delle opere di Chillida accostate ad altre simili ma anteriori di Oteiza.
Nel 1951 nasce il primo di otto figli e presto la famiglia decide di ritornare definitivamente a San Sebastián. Chillida realizza Ilarik, la sua prima opera in ferro, materia questa che poi utilizzerà durante tutto il resto della sua vita.
Eduardo Chillida si autodefiniva "un solitario, un solitario con Pili". Affinché Chillida si dedicasse interamente all'arte, sua moglie Pilar si occupò di tutti gli altri aspetti della vita della loro famiglia. Fin dall'età di 15 anni, fu il suo punto di riferimento. Oltre ad ereditare il gusto dell'arte, sua moglie ed i suoi figli hanno partecipato in progetti ambizioni come Museo Chillida-Leku e la montagna di Tindaya.
Uno degli aspetti meno conosciuti dell'opera di Eduardo Chillida è senza dubbio la sua opera di progettista-arredatore di interni. Il lavoro per la sua residenza di famiglia del Monte Igueldo si tradusse in una atmosfera ricca di colori neutri, con mobili semplici ispirati alla tradizione popolare basca e nell'uso diretto di buona parte degli elementi costruttivi dell'edificio con funzione estetica.
Nell'ultima fase della vita, il proprio Chillida fondò il Museo Chillida-Leku, inaugurato nell'anno 2000 nella fattoria di Zabalaga (nel comune di Hernani, nei pressi di San Sebastián), una bella fattoria del XVI secolo, in stile tipicamente basco, sede di un antico allevamento di cavalli, alla cui ristrutturazione Chillida lavorò come se si fosse trattato di una scultura. Zabalaga è circondata da un grande giardino che oggi ospita quella che probabilmente è la maggiore collezione di opere dell'artista. È lì dove è possibile ammirare all'aperto gran parte delle opere di Chillida, in una atmosfera certamente magica. L'inaugurazione del Museo Chillida-Leku poté contare con la presenza dello scultore, già malato, insieme con i Reali di Spagna, Re Juan Carlos I e la Regina Sofía, l'allora Presidente del Governo José María Aznar e l'allora Cancelliere tedesco Gerhard Schröder.
Eduardo Chillida è morto il 19 agosto del 2002 nella sua casa del Monte Igueldo a San Sebastián.
Riconoscimenti
Nel 1950 una prima esposizione delle sue opere a Parigi stessa lo lancia nel campo della notorietà e da allora è tutto un susseguirsi di premi e riconoscimenti:Gran Premio di Scultura alla Biennale di Venezia nel 1958.Premio Kandinsky nel 1960.Gran Premio di Belle Arti di Renania-Westfalia nel 1966.Premio Rembrandt della Fondazione Goethe nel 1975.Medaglia d'oro delle Belle Arti a Madrid nel 1981.Premio Europa delle Belle Arti a Strasburgo nel 1983.Gran Premio delle Arti di Francia nel 1984.Kaiserring della città di Goslar nel 1985.Premio Richard Wolf del Parlamento d'Israele nel 1985.Premio Principe de Asturias delle Arti nel 1987.Premio Lorenzo il Magnifico a Firenze nel 1987.Premio Imperiale del Giappone nel 1991.
Nel 1971 viene nominato docente dell'Università di Harvard e nel 1994 Accademico delle Belle Arti di Madrid.
Stile
Chillida nei suoi lavori sottolinea specialmente un profondo rispetto per la materia, per come si comporta e si modula, affrontandola sempre con discrezione. Espone la sua esperienza su temi fondamentali, come la creazione e la morte, con la stessa concretezza con cui parla della materia. La serietà e la profondità delle sue riflessioni implicano una concezione unitaria dell'esistenza umana.
Riflessioni « Grazie allo spazio esistono limiti nell'Universo Fisico e io posso essere uno scultore. »
« Che genere di spazio rende possibili i limiti nel mondo dello spirito? »
« Non sarà forse l'arte la conseguenza di una necessità, bella e difficile, che ci porta a tentare di fare quello che non sappiamo fare? »
« Perché l'esperienza si orienta verso la conoscenza e la percezione verso il conoscere? »
« Dallo spazio con suo fratello il tempo, sotto la gravità insistente, sentendo la materia come uno spazio più lento, mi chiedo con stupore ciò che non so. »
« Il crepuscolo e l'aurora non sono entrambi l'avanguardia? »
« Non è il limite il vero protagonista dello spazio, così come il presente, un altro limite, è il protagonista del tempo? »
« Io non rappresento, domando. »
« No, io non vedo come l'uomo possa essere capace di creare...L'uomo è sì capace di utilizzare, manipolare, mettere in ordine, in disordine, secondo la sua volontà, e forse in un certo senso questo si potrebbe chiamare creazione, ma credo che questa parola sia troppo grande per l'uomo. Io concepisco la creazione a livello di Dio. »
Opere
Le sue opere sono presenti in più di 20 musei in tutto il mondo. Le sue sculture sono collocate di fronte al mare, come a San Sebastián o ad Ondarroa ("Peine del viento" -1977-); o in montagna, come in Giappone, e in città come Washington, Parigi, Lund, Munster, Madrid, Palma di Maiorca, Guernica, Berlino e Monaco di Baviera.
Sulla sua opera hanno scritto architetti, matematici e filosofi come Martin Heidegger, Emil Cioran e poeti come Octavio Paz.
Eduardo Chillida. Il parco delle sculture a Donastia-San Sebastian.
Maria De Propris
Il parco delle sculture realizzato da Eduardo Chillida (1924-2002), è situato a pochi chilometri da Donastia-San Sebastian; ha un'estensione di 13 ettari di terreno e raccoglie le testimonianze di mezzo secolo di ricerca artistica di uno dei più importanti scultori spagnoli del XIX secolo. Nel Chillida Leku (1), le opere sono distribuite sia nel parco, che all'interno di un antico casale.
L'artista basco, con tale parco delle sculture, ha cercato di ottenere una totale identificazione con il luogo (che intende, a un tempo, come "spazio" e come "paese"), realizzando un sogno, un'utopia, quella di "trovare uno spazio dove le sculture potessero riposare e dove la gente potesse passeggiare in mezzo a loro come in un bosco".
Com'egli afferma, il luogo è il referente costante del proprio fare artistico, il punto di partenza per quasi ogni sua opera. "Sono fra le persone che pensano, e per me è molto importante, che ogni essere umano appartiene ad un posto. […] Io qui nel mio paese basco mi sento nel mio posto, come un albero che ha le radici infisse nella terra, ma con le braccia stese e aperte a tutto il mondo. […] La mia opera, proprio perchè appartengo a questo luogo avrà una tinta particolare, una luce 'scura' che è la nostra luce".
L'idea del parco nasce nel 1983 quando, dopo aver visitato la tenuta Zabalaga, Chillida e la moglie Pilar Belzunce restano colpiti dal casale del 1543, uno dei più antichi conservati nella regione, che dà il nome alla proprietà. Nel 1984 i coniugi acquistano una parte della proprietà e la costruzione in rovina che si trova nella zona centrale. Durante gli anni seguenti lo scultore restaura poco a poco la costruzione con la collaborazione dell'architetto Joaquin Montero e il terreno intorno ad essa si trasforma gradualmente in un parco delle sculture; nel contempo si rafforza in Chillida e la moglie l'idea di realizzare un vero museo, così continuano ad acquistare il terreno fino a raggiungere i 13 ettari attuali.
Sarà lo stesso Montero a realizzare il piccolo ed essenziale padiglione d'ingresso utilizzato per l'accoglienza del pubblico con una caffetteria, una piccola biblioteca e una sala per le proiezioni.
Il restauro della casa sarà una vera e propria impresa che durerà diversi anni. Lo spirito con cui l'artista affronta tale intervento è quello di realizzare una vera e propria opera d'arte, paradossalmente si potrebbe definire una "scultura a grande scala". Dell'esterno sarà rispettato l'involucro, compreso l'antico stemma nobiliare; dell’interno sarà riprogettato lo spazio, conservando tutte le originarie e contorte strutture lignee ed esaltando, con opportuni interventi, la consistenza e il carattere delle varie materie in ogni loro parte. Attualmente, l'edificio ospita, a piano terra, una selezione delle opere di piccola dimensione, realizzate dall'artista negli ultimi venti anni di attività; al primo piano, sono disposti altri lavori secondo un ordine cronologico: le prime realizzazioni del periodo parigino (1948-1951), accompagnate dai disegni e le sculture in ferro al suo ritorno a San Sebastian, e poi i progetti per le monumentali opere pubbliche e gli splendidi pannelli in cui, a partire dal 1986, l'artista sperimenta disegni su carta a tre dimensioni.
All’esterno cinquanta sculture in materiali e grandezze diverse sono collocate nelle varie parti del giardino: un verde piano in leggero declivio con una zona alberata che fa da fondale alla casa.
In questa sistemazione, per molti anni ha avuto un ruolo fondamentale Kosme Barañano, professore d'arte e collaboratore di Chillida: «Non c'è un percorso univoco», egli afferma, «le sculture non sono sistemate seguendo un ordine cronologico, e non esiste un itinerario obbligato: l'insieme è concepito come un grande spazio aperto nel quale i rapporti reciproci che si stabiliscono tra i vari pezzi disposti su vari livelli, compresa la casa stessa, s'accordano in maniere differenti. Così, come le opere stesse di Chillida offrono differenti visione a partire da diversi punti di vista, allo stesso modo bisogna considerare Zabalaga come un insieme scultoreo che può essere contemplato in diverse maniere».
Il Leku, il luogo nella sua unità spazio-temporale, nella sua totalità, si afferma come il grande protagonista del museo e come soggetto essenziale e condizionante di tutta l'opera dell’artista basco che, soprattutto nelle opere pubbliche, in rapporto a particolari contesti urbani o naturali di grande valore simbolico e rappresentativo delle comunità che li vivono, raggiunge la sua più alta forma d'espressione.
L'artista basco, con tale parco delle sculture, ha cercato di ottenere una totale identificazione con il luogo (che intende, a un tempo, come "spazio" e come "paese"), realizzando un sogno, un'utopia, quella di "trovare uno spazio dove le sculture potessero riposare e dove la gente potesse passeggiare in mezzo a loro come in un bosco".
Com'egli afferma, il luogo è il referente costante del proprio fare artistico, il punto di partenza per quasi ogni sua opera. "Sono fra le persone che pensano, e per me è molto importante, che ogni essere umano appartiene ad un posto. […] Io qui nel mio paese basco mi sento nel mio posto, come un albero che ha le radici infisse nella terra, ma con le braccia stese e aperte a tutto il mondo. […] La mia opera, proprio perchè appartengo a questo luogo avrà una tinta particolare, una luce 'scura' che è la nostra luce".
L'idea del parco nasce nel 1983 quando, dopo aver visitato la tenuta Zabalaga, Chillida e la moglie Pilar Belzunce restano colpiti dal casale del 1543, uno dei più antichi conservati nella regione, che dà il nome alla proprietà. Nel 1984 i coniugi acquistano una parte della proprietà e la costruzione in rovina che si trova nella zona centrale. Durante gli anni seguenti lo scultore restaura poco a poco la costruzione con la collaborazione dell'architetto Joaquin Montero e il terreno intorno ad essa si trasforma gradualmente in un parco delle sculture; nel contempo si rafforza in Chillida e la moglie l'idea di realizzare un vero museo, così continuano ad acquistare il terreno fino a raggiungere i 13 ettari attuali.
Sarà lo stesso Montero a realizzare il piccolo ed essenziale padiglione d'ingresso utilizzato per l'accoglienza del pubblico con una caffetteria, una piccola biblioteca e una sala per le proiezioni.
Il restauro della casa sarà una vera e propria impresa che durerà diversi anni. Lo spirito con cui l'artista affronta tale intervento è quello di realizzare una vera e propria opera d'arte, paradossalmente si potrebbe definire una "scultura a grande scala". Dell'esterno sarà rispettato l'involucro, compreso l'antico stemma nobiliare; dell’interno sarà riprogettato lo spazio, conservando tutte le originarie e contorte strutture lignee ed esaltando, con opportuni interventi, la consistenza e il carattere delle varie materie in ogni loro parte. Attualmente, l'edificio ospita, a piano terra, una selezione delle opere di piccola dimensione, realizzate dall'artista negli ultimi venti anni di attività; al primo piano, sono disposti altri lavori secondo un ordine cronologico: le prime realizzazioni del periodo parigino (1948-1951), accompagnate dai disegni e le sculture in ferro al suo ritorno a San Sebastian, e poi i progetti per le monumentali opere pubbliche e gli splendidi pannelli in cui, a partire dal 1986, l'artista sperimenta disegni su carta a tre dimensioni.
All’esterno cinquanta sculture in materiali e grandezze diverse sono collocate nelle varie parti del giardino: un verde piano in leggero declivio con una zona alberata che fa da fondale alla casa.
In questa sistemazione, per molti anni ha avuto un ruolo fondamentale Kosme Barañano, professore d'arte e collaboratore di Chillida: «Non c'è un percorso univoco», egli afferma, «le sculture non sono sistemate seguendo un ordine cronologico, e non esiste un itinerario obbligato: l'insieme è concepito come un grande spazio aperto nel quale i rapporti reciproci che si stabiliscono tra i vari pezzi disposti su vari livelli, compresa la casa stessa, s'accordano in maniere differenti. Così, come le opere stesse di Chillida offrono differenti visione a partire da diversi punti di vista, allo stesso modo bisogna considerare Zabalaga come un insieme scultoreo che può essere contemplato in diverse maniere».
Il Leku, il luogo nella sua unità spazio-temporale, nella sua totalità, si afferma come il grande protagonista del museo e come soggetto essenziale e condizionante di tutta l'opera dell’artista basco che, soprattutto nelle opere pubbliche, in rapporto a particolari contesti urbani o naturali di grande valore simbolico e rappresentativo delle comunità che li vivono, raggiunge la sua più alta forma d'espressione.
Durante il 2007 il Peine del Viento in coincidenza del trentesimo anniversario dell'installazione della famosa scultura posta al limite estremo della Bahia de la Concha, a Donastia-San Sebastian, è stato il tema centrale di tre esposizioni temporanee organizzate dal museo. "C'è un luogo che per la sua intrinseca qualità per tutta la vita mi ha coinvolto», ricorda Chillida, «ciascuno di noi possiede nella propria interiorità un luogo come questo […]; è il luogo a suggerirmi quello che va fatto: io vi ho collocato tre elementi, ho creato un triangolo in stretta correlazione con le rocce […], uno dei suoi vertici è lontano, ma contribuisce ugualmente a creare la sua spazialità".
Le tre potenti sculture ricordano nella forma delle tenaglie fermamente infisse nella roccia calcarea attraverso due spuntoni e sembrano opporsi alla forza del vento che con furia solleva le onde del mare. Allo stesso tempo, sette colonne d'acqua schizzano fuori del piano della piazza attraverso dei piccoli pozzi nei quali il mare s'insinua nei momenti di alta marea.
Il tema del contesto, si è detto, è particolarmente caro all'artista basco, ma nel Pettine del Vento tale nozione di spazio in senso heideggeriano emerge in tutta la sua chiarezza.
Martin Heidegger in, Costruire Abitare Pensare, così scrive: «Il ponte, il vecchio ponte di Heidelberg non si colloca in un luogo, ma è di fronte ad esso che il luogo appare; è un luogo che genera uno spazio con le sue multiformi vicinanze e lontananze. Solo ciò che è già un luogo può consentire una localizzazione, le cose che sono luoghi permettono un'installazione e aprono spazi» (2), come il Pettine del Vento ha aperto, di fronte al mare a San Sebastian, nuovi interrogativi.
Per il filosofo tedesco, lo spazio è, dunque, qualcosa di relazionale: l'opera dell'artista non prende corpo in uno spazio, ma è essa stessa creatrice dello spazio. La scultura crea un luogo che non esisteva prima. Nel caso del Pettine del Vento, il luogo era là in tutta la sua "sublime" bellezza: l'artista lo svela e allo stesso tempo lo delimita, creando una nuova entità, "il limite è il vero protagonista dello spazio, allo stesso modo che il presente, inteso come limite, è il vero protagonista del tempo".
La relazione tra l'architettura (3) e la scultura, in questo modo, trasforma lo spazio in un luogo di eventi, di relazioni e l'opera cessa d'appartenere all'artista per aprirsi alla gente.
Diverse sono le opere pubbliche realizzate da Chillida che si caratterizzano per il loro marcato carattere monumentale, in cui il contesto non è soltanto luogo fisico, ma anche simbolico, sociale e politico. Nel Monumento a los Fueros, a Vitoria (1980) -un monumento alle libertà sociali conquistate dal popolo basco- con l'aiuto dell'architetto Peña trasforma uno spazio triangolare di mq. 8.000 in un bassorilievo a differenti livelli: in una cappella laica, posta a circa tre metri sotto la quota della piazza è inserita una piccola scultura in ferro Estela de los Fueros in cui, da un massiccio tronco di ferro, si separano dei rami (per l'autore, essi rappresentano la libertà del popolo basco) che si dirigono, alcuni verso la luce, ed altri verso la terra.
Nell' Elogio del horizonte (1990), infine, posto sul Cerro de Santa Catalina a Gijon, il rapporto con lo spazio aperto naturale è prevalente: una sorprendente scultura di 500 tonnellate di cemento, collocata su una zona fortificata che guarda dall'alto il mare. Il processo creativo, in questo caso, è stato l'opposto di quello solitamente percorso: l'opera era già stata ideata e cercava un luogo ideale per collocarsi. La scelta della fortezza della città di Gijon sarà frutto del suggerimento di un giovane architetto. La costruzione durerà quattro anni e raccoglierà molte polemiche. Oggi l'imponente opera è divenuta un segno rappresentativo, quasi il logo, dell'operosa città-porto delle Asturie.
Note
(1) Leku è una parola euskera che ha diversi significati: luogo, spazio, ma anche paese.
(2) M. Heidegger, “Costruire Abitare Pensare”, in Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, tr. it. e introduzione di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1976
(3) Il progetto della piazza a gradoni di granito è opera dell'architetto Luis Peña Ganchegui.
Autore | Data pubblicazione | Volume pubblicazione |
DE PROPRIS Maria | 2008-03-03 | n. 6 Marzo 2008 |